28 Gen da Il giardino sulla spiaggia: Lucca non cadrà
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Vivere è la cosa più rara al mondo.
La maggior parte della gente esiste, ecco tutto.
(Oscar Wilde)
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Lucca non cadrà!
di Gabriele Levantini
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Questo racconto del viareggino di nascita e lucchese d’adozione Gabriele Levantini è basato su eventi storici realmente accaduti, romanzati per riadattarli alle vicende personali dei protagonisti, che sono frutto di fantasia.
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Gabriele, che ha un proprio blog e segue vari progetti, ha pubblicato un libro dal titolo “Il giardino sulla spiaggia” che è stato inserito nel catalogo di Amazon.
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Tutto era calmo e silenzioso, racchiuso nella cappa gelida e spettrale che avvolgeva Lucca come un mantello di nebbia nella fredda notte novembrina. La ronda percorreva il suo cammino, apparendo e scomparendo come un’ombra nella foschia.
Jacopo si scaldava davanti al grande camino della Caserma di San Martino. Era un bel giovane: capelli neri, sguardo profondo e fisico slanciato, l’orgoglio di sua madre Elisa e di tutta la famiglia Martinelli. Un figlio soldato delle mura, custode della Repubblica, sempre più stretta tra l’ingordigia di Firenze e l’aggressività di Parma, un vero uomo d’armi, al servizio del Consiglio degli Anziani, come i cavalieri delle antiche leggende.
Insieme agli altri soldati intirizziti, Jacopo pensava a quale fortuna gli fosse toccata a non dover fare la ronda quella sera. Forse il giorno seguente la sorte, per mano del Commissario, avrebbe chiamato il suo nome, ma non oggi! E questo era più che sufficiente per quel gelido 4 novembre.
“Quando sposerai Lucrezia?” Gli domandò Giovanni, suo amico e commilitone.
“Le nostre famiglie hanno deciso che avverrà alla fine di questo mese, con l’aiuto di Dio”
“Sono felice! Per me sarà tra due settimane! La mia famiglia ha finalmente concluso l’accordo con i Bianchi. Se Dio vorrà, sposerò la loro figlia maggiore, Laura!”
Si scambiarono uno sguardo, sorrisero. Dentro le pesanti armature battevano leggeri i cuori di due ragazzi che s’affacciavano alla vita.
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Il capitano passò in rassegna le truppe, scrutando gli uomini dall’alto del suo destriero ansante. Si fermò proprio davanti a Bernardino, che cercò di mantenere un atteggiamento marziale all’altezza dei soldati più anziani.
Lo fissò con sguardo tremendo, avvicinando il suo cavallo a quello del giovane.
“Noi siamo i Dragoni di Parma, siamo la forza del Ducato! I nemici tremano quando i nostri destrieri caricano, sono terrorizzati dai ruggiti dei nostri archibugi! In nome di Dio, combatteremo i nemici di Parma, senza paura, e chiunque osi attaccarci morirà!”
Il battaglione urlò esclamazioni d’approvazione. Il capitano si spostò e Bernardino poté finalmente tirare un sospiro di sollievo.
“Questa notte attraverseremo la terra di Toscana. Il Granduca Ferdinando II ha giurato alleanza al nostro signore Odoardo I, ma io vi dico: mai fidarsi dei fiorentini! La Toscana è stata a lungo nostra avversaria!”
Gli uomini rimasero in silenzio, ognuno in cuor suo sapeva il rischio al quale era esposto.
“Inoltre passeremo vicino al confine di Lucca! Un giorno, a Dio piacendo, la espugneremo e demoliremo le sue mura! Un giorno libereremo la Garfagnana! Ma non oggi, Dragoni! Oggi non siamo qui per combattere! Eppure, vi dico: siate pronti a rispondere all’armi lucchesi e preparate i vostri cuori ad affrontare il giudizio di Dio questa sera!”
Il capitano ristette, un vento gelido gli muoveva i folti capelli neri. Aveva l’aspetto di un vero militare di lungo corso: lineamenti duri, un portamento elegante e un piglio risoluto.
I soldati acclamavano il Duca Odoardo e Parma e gridavano minacciose frasi di vittoria. In quel clamore, Bernardino non riusciva a pensare che alla sua Luisa, la leggiadra ragazzina che s’era fatta donna. Infine gli era stata promessa in isposa, non appena fosse rientrato a Parma.
Si misero in marcia, nella gelida notte Toscana, alla volta di Altopascio. Il battaglione avanzava compatto tra i campi nebbiosi, procedendo al passo con sempre maggiore prudenza via via che il contorno severo dell’antica fortezza del Tau si faceva più prossimo.
A un certo punto un soldato dell’avanguardia tornò al galoppo dal capitano. Dopo un breve scambio, quest’ultimo girò il cavallo verso i suoi uomini e ordinò loro di fermarsi. Li squadrò in silenzio per un attimo.
“Dragoni! Ad Altopascio i fiorentini hanno schierato la milizia e altri uomini stanno arrivando da Pescia, al confine con Lucca. Forse stanno arrivando anche i lucchesi”. Le parole investirono i soldati come frecce nemiche e il silenzio divenne tremendo.
Il capitano proseguì. “Forse si preparano a difendersi, o forse vogliono attaccare. Noi non siamo qui per fare la guerra, ma certamente non temiamo le milizie di Firenze né quelle di Lucca! Mantenete la calma, e tenetevi pronti a dar loro risposta!”
A Bernardino raggelò il sangue nelle vene: era giunto il momento che più temeva. Un vento freddo soffiava lieve dalla campagna. Chiuse gli occhi per un istante, come per accogliere quella carezza, finché avesse avuto la certezza di averne ancora il tempo.
La sua vita stava probabilmente per finire: il suo petto sarebbe stato spaccato da una palla d’archibugio o trafitto da una dardo di balestra o da una picca o ancora sarebbe stato dilaniato dal cannone. Forse non avrebbe mai sposato Luisa, non avrebbe conosciuto la gioia dell’amore carnale nè il calore della famiglia. Forse sarebbe morto in terra straniera, per mano di un altro ragazzo, del tutto uguale a lui tranne che per le insegne e per l’accento.
Perché? A cosa serviva tutto ciò? Parma, Firenze, Lucca, i confini, la guerra… Morire per il Duca: ora che il momento si avvicina, non sembrava più così bello, così nobile. Non sarebbe stato meglio tornarsene a casa in pace e sposare Luisa? Senza dover attraversare confini, imposti e inevitabili come una condanna, ma mutevoli come le stagioni e pericolosi come torrenti in piena.
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Jacopo rimase di sasso. Era reale quell’orribile suono, oppure si era trattato di un incubo? Forse si era assopito e un perfido linchetto [1] era uscito dai sotterranei per terrorizzare il suo sonno. No, purtroppo era vero: il suono delle campane giungeva incessante dal Palazzo degli Anziani, come le sue più intime paure portate in volo su ali di corvo nel buio della notte.
“Tutti gli uomini ai loro posti! Forza! Non sentite l’allarme?!” Il Commissario spronava la guarnigione con grande foga.
Il ragazzo scattò in piedi e si posizionò velocemente alla sua postazione. Tutti eseguivano le istruzioni imparate nell’addestramento: chi si precipitava all’armeria, preparandosi a distribuire le armi alla milizia urbana, chi posizionava i cannoni, chi caricava le polveri e le balestre. Anche Jacopo estrasse la fiaschetta della polvere e ne versò un po’ nell’archibugio, le mani gli tremavano, il cuore era impazzito. La pressò e poi prese la palla di piombo, che gli scivolò a terra.
Si chinò a cercarla, quando vide davanti a sé due grandi piedi con calzari militari. Ebbe un sussulto. Alzò lo sguardo: un uomo imponente, lo fissava. Volto coriaceo, un sottile velo di barba nera, era il Commissario.
“Soldato! Prendi immediatamente posizione!”
Si alzò, vergognandosi di aver provato paura.
L’ufficiale estrasse un’altra palla e gliela porse, tramutando lo sguardo severo in un sorriso appena accennato.
“Stai calmo, ragazzo, e sii coraggioso. Forse oggi moriremo, ma Lucca non cadrà, né oggi, né mai! Iddio ci protegge.”
Jacopo spinse la carica nell’archibugio e prese posto nella sua postazione di tiro. Uno alla volta, ogni uomo si posizionava. Nel frattempo la città si era svegliata ed era in tumulto. La milizia si raccoglieva, e a tratti le grida degli ordini coprivano il suono della campana che del Palazzo degli Anziani continuava a risuonare come un triste presagio di morte.
Un vento freddo soffiava lieve dalla campagna. Jacopo chiuse gli occhi per un istante, come per accogliere quella carezza, finché avesse avuto la certezza di averne ancora il tempo.
Adesso non restava che aspettare la morte, rassegnarsi all’idea di lasciare Lucrezia e i suoi vecchi genitori e i suoi amici. Non era per niente facile. Come riusciva il Commissario a confrontarsi così serenamente col fatto che la sua storia sarebbe finita quel giorno, per sempre, per mano di un ragazzo proprio come lui.
Mentre questi pensieri affollavano la mente di Jacopo, la milizia urbana arrivava in gran numero a supportare le guarnigioni delle mura, e poche miglia più a nord le milizie di montagna confluivano su Borgo a Mozzano, per chiudere ai Dragoni la Garfagnana, e a Ponte a Moriano, pronte a soccorrere la città.
Morire per la Repubblica: ora che il momento si avvicina, non sembrava più così bello, così nobile. Cosa voleva da lui il Duca di Parma? Perché non se ne stava in pace e lo lasciava sposare Lucrezia? Per quale motivo doveva attraversare il confine?
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Un corvo gracchiò nel buio agghiacciante, come a interrompere il silenzio solenne altrimenti disturbato solo dal rumore degli zoccoli dei cavalli sul sentiero polveroso.
Bernardino sfilava con i suoi compagni, ormai poco lontano dalla rocca di Altopascio. Le parole ben chiuse in bocca e le armi ben strette tra le mani, pregando in cuor suo che i fiorentini non attaccassero. Si girò verso la città: il contorno spettrale dei maschi e delle torri era popolato dai fuochi accesi dalle guarnigioni nemiche.
Un passo dopo l’altro avanzava. Se il cannone avesse aperto il fuoco, forse lui sarebbe morto lì, laddove i signori decisero con guerre e trattati di porre il confine. I suoi resti sparsi tra i pungitopo e le ortiche, forse nessun corpo da seppellire per suo padre, sul quale piangere per sua madre.
Un passo dopo l’altro, silenzio dopo silenzio. Il tempo scorreva lentissimo, le distanze si allungavano a dismisura. Quando sarebbero stati al sicuro? Quando abbastanza lontani? Ora poteva sentire i contadini che suonavano le campane nei villaggi vicini, terrorizzati dall’incubo di mille guerrieri nemici che distruggevano i loro villaggi, violentavano le loro donne, tagliavano le loro gole.
Deboli, poveri, incapaci di difendersi, erano terrorizzati da loro, da lui. “Eppure non sono così diversi da me”, pensava Bernardino, capendo bene la loro paura. Povere anime in balia di forze superiori, di decisioni altrui, di un fato ingiusto. Vittime di guerre non scelte e non volute, a causa dei signori che reclamavano la loro vita per la propria difesa. Per diritto divino, affermavano loro. Ma questo diritto che brandivano sembrava ben più umano di quanto volessero far credere.
Un passo dopo l’altro, metro dopo metro. Erano adesso fuori dalla linea di fuoco e i soldati iniziarono a rilassarsi. L’allarme dei contadini risuonava ancora nelle valli, in lontananza. Sentirono degli spari: i soldati di Altopascio stavano festeggiando il mancato attacco, gioivano anche loro per non essere morti. I sospiri di sollievo dei nemici erano in fondo molto simili ai loro.
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Le notizie arrivavano a Lucca frammentarie e confuse. Pareva che i Dragoni di Parma si fossero scontrati con i fiorentini ad Altopascio: si erano sentiti chiaramente degli spari e i suoni delle campane. Si diceva che avessero dovuto deviare, attraversando il confine lucchese e che adesso stavano razziando le campagne. A San Martino in Colle e San Gennaro i contadini avevano dato l’allarme alle torri, con le campane.
“Adesso quei poveri contadini devono essere tutti morti. Speriamo non vengano qui, adesso.” Disse Jacopo a Giovanni.
“Non credo si spingano oltre il contado, attaccare la città sarebbe un suicidio”
“E se invece aspettassero rinforzi dalla Lunigiana, per attaccarci su due fronti?“
Giovanni rimase in silenzio, abbassando leggermente lo sguardo. Rimasero in attesa.
Ora dopo ora, la notte passava. L’attesa era interminabile, non arrivavano altre notizie. La mente di Jacopo era occupata da mille pensieri. Dov’erano i Dragoni adesso? Cosa stavano facendo?
Forse il cannone che più tardi avrebbe dilaniato il suo corpo era in viaggio in questo momento, la palla già pronta. Se l’avesse preso bene, nel petto o sulla testa, sarebbe morto senza soffrire troppo. Se invece fosse arrivata sull’addome, l’avrebbe spezzato in due e se ne sarebbe andato con le viscere di fuori, nell’aria fredda della notte. O magari gli avrebbe staccato una gamba, affidandolo a una lenta agonia.
Forse adesso le milizie stavano difendendo i confini della Repubblica a Borgo a Mozzano e stavano morendo sul campo.
A lui sarebbe toccato di difendere, qualora ce ne fosse stato bisogno, il cuore dello stato: la città. Sarebbe dovuto essere fiero di poter sacrificare la propria vita per la città.
Ora dopo ora, la notte si faceva stanca e l’alba più vicina. Forse il pericolo era passato. O forse i nemici si stavano solo organizzando in attesa di attaccare.
Il Commissario arrivò con passo svelto e cominciò ad arringare gli uomini.
“Soldati della Repubblica! Non sappiamo cosa stia succedendo, ma presto arriveranno notizie, non temete! Mantenetevi pronti, forse questa notte ci presenteremo al trono di Dio, ma non permetteremo mai che la città venga catturata! Lucca non cadrà!”
Si udì in quel momento il galoppo di un cavallo veloce, che si avvicinava alle mura come un fulmine. Era un messaggero, finalmente.
L’ufficiale si precipitò alla porta e tornò dopo poco con aria festante.
“Io, Manfredo Lucchesi, Commissario del Baluardo di san Martino, questa notte di 4 novembre, anno del Signore 1642, autorizzo la milizia urbana a sciogliersi e tornare alle proprie case, riconsegnate le armi alle guarnigioni delle mura. I Dragoni non hanno attaccato!”
Gli uomini scoppiarono in boati di felicità: i cittadini cominciarono a riconsegnare le armi ai soldati delle mura, che le dividevano ordinatamente.
“A quanto pare, riuscirò a sposare Laura” Disse Giovanni col cuore in gola.
Jacopo non rispose, facendo finta di non aver sentito, per paura di non riuscire a trattenere una lacrima. Lucca si era salvata senza chiedere in cambio la sua vita, almeno per quella notte.
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racconto di Gabriele Levantini
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Tratto dal blog:
https://ilgiardinosullaspiaggia.com
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