La locanda di Buatino

La locanda di Buatino

Guasi ‘n cima ar Giannotti, in borgata, c’era ‘na fossa.

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il Giannotti senza automobili all’indicatore

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A quell’òra l’acqua era pulita che la potevi beve’, mi’a com’oggigiorno che piglieresti le péggio malatie…e lì su un poggio c’avevin misso du pietroni che le donne, guasi tutte, c’andavino a sciacqua’ i panni. Era un lavatoio che per sapone, se ‘un te lo potevi permette’, usavi la lisciva sennò la cenere o ancho nulla. 

E veste donne le sentivi canta’, discorre’, ride’ e fa’ i pettegolezzi speciarmente sulle signore, loro padrone, che ni davin da lava’ ancho i loro…

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le lavandaie lungo la fossa nel vicoletto

E a lava’ c’andava ancho Gemma c’era la móglie dell’oste der Giannotti, sicchè lavava piuccheartro le tovaglie e i grembiali. E le tovaglie erino alla méglio, un popo’ finite, quale buate, quale macchiate di sugo de’ TorDelli o della trippa che anche a struscia’ a  finille con la pietra, un veniva via ir sudicio neancho morto.

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l’oste del Giannotti, “niffito” ovvero innervosito

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L’oste aveva una locanda sempre piena zeppa perché dar Giannotti ci passavin tutti: lucchesi, camaioresi, garfagnini e via discorendo; c’indava ancho la gente di borgata, che erin persone alla semplice: artigiani, barocciai, contadinacci, bottegai eccetera.

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“la vocazione del Giannotti”, il Quartiere visto dall’argine del fiume Serchio. Una delle botti che qui venivano prodotte, un impagliatore ed un carro con una vacca

I più c’andavino leti come fossero sortiti dar campo o da governa’ le bestie, sicchè sporcavino per tera colli soccoli o li sciantillì e insudiciavino ancho le tovaglie di vella pia donna che, ancho se era “pia”, sempre donna era e ar su’ marito ni rompeva i coglionfani:

“ E guada vi che pattume in tèra!”

“E bada là belle mi’ tovaglie” 

“Ma perché ‘un ni dici nulla?”

E l’oste, che a sentì era un popo’ curioso, szitto ‘un ni riusciva stacci e una vorta e po’ due, litiavin.

Doppo, tanto con le’ un ne veniva a capo,  principió a dinni a’ clienti che avevin a esse’ più puliti:

“ Le zampe davanti ve le dovite lava’! io lai!!!

“La mi’ moglie sennò deve fa’ il bu’atino colle tovaglie che lerciate voi!!!”

Da lì lo battezzaron i clienti “BUATINO” e induve c’era la fossa ci fu chiamato “vicolo Bucatino”, più preciso con la “C” e tutto, no’ al risparmio com’è moda pianigiana…

Se c’indate c’è sempre la locanda e la stradina!!!

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la mogliera dell’oste, una “santa donna”..le manca l’aureola e le ali ma con quanto deve sfaccendare si sta guadagnando il Paradiso

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Ispirato al racconto dell’attuale proprietario della storica Locanda Buatino, il passo con il commento maschilista sulla moglie dell’oste ha solo il fine narrativo di edulcorare lo scritto.

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il locale omaggia i suoi clienti del libretto  in vernacolo lucchese, italiano ed inglese con la storia illustrata che spiega il suo nome!

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versione 🇮🇹

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Quasi all’inizio della borgata popolare del Giannotti si trovava un piccolo fossato.
In quel tempo l’acqua di tutti i corsi era così pulita da potersi addirittura bere, cosa che, se si tentasse di farlo oggi, è probabile che ci ammaleremmo gravemente.

Lungo il piccolo argine di questo fossato erano stati sistemati dei grossi massi affinché le donne del posto potessero farvi il bucato.
In questo basilare lavatoio coloro che non potevano permettersi il sapone utilizzavano, per detergere, della lisciva, della semplice cenere o addirittura niente.
Dette lavandaie, chinate a lavorare, erano solite cantare, parlottare, sorridere, ma soprattutto far pettegolezzi che avevano per soggetto le signore altolocate che commissionavano loro il bucato.

Tra le donne del lavatoio era anche Gemma, moglie dell’oste di Borgo Giannotti, che essenzialmente lavava i grembiuli e le tovaglie della locanda.
Le tovaglie di un’osteria popolare sono assai spartane, sdrucite, bucherellate e unte dei condimenti di pietanze come i “tordelli” o la “trippa alla lucchese”: le macchie dei sughi sono persistenti fino alla morte anche se abrase con una rudimentale spazzola in pietra!

I tavoli dell’oste di Borgo Giannotti erano sempre al completo poiché la borgata si trovava in una zona di grande affluenza di avventori delle zone di Lucca, Camaiore o Garfagnana.

Oltre a questi “pellegrini” ,erano clienti del locale anche le semplici e grossolane persone del luogo, in prevalenza artigiani, carrettieri, contadini e piccoli commercianti

La maggior parte di costoro non si faceva scrupolo del fatto di andare alla locanda malvestita o indegnamente sporca come se avesse appena lavorato nei campi o nella stalla degli animali.

Detta gentaglia, così conciata, oltre a sporcare a terra con zoccoli e stivali, succedeva che lordasse le tovaglie della signora Gemma che, sebbene fosse molto religiosa, era anche piuttosto polemica riversando sul povero marito il proprio malcontento:

Guarda là quanto sporco in terra!”
” Povera me… e le mie tovaglie pulite!”
” Dovresti far sentir le tue ragioni con quegli zozzi individui!

L’oste poi, a quanto si diceva, era uomo assai strano, difficilmente tratteneva i suoi veraci pensieri e accadeva che più di una volta litigasse ( in pubblico ) con la consorte.

Non riuscendo comunque a tenerla a freno, dovette assecondarne la volontà di Gemma ed iniziò quindi a rimproverare i clienti della loro lordezza:

È buona norma il lavarsi le mani prima di andar a tavola! “
” Non lavando voi, mai le mani, costringete mia moglie a dover fare continuamente il “bucatino” alle tovaglie sporche.

Per via della reiterata parola “bucatino” , che con parsimonia lucchese viene pronunciata omettendo la lettera “C” ( aspirandola alla toscana ) , all’oste fu affibbiato il soprannome di “Buatino” ed anche il vicolo delle lavandaie fu registrato come “vicolo Bucatino”.

Chi si trovi a Borgo Giannotti verifichi con i suoi stessi occhi la verità di quanto affermato, poiché la locanda ed il vicolo sono ancora nel medesimo posto.

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de Il Lustro

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la locanda Buatino, a metà tra ieri e oggi con una tinozza straripante di tovaglie appena lavate.

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il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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