Canśonettato per un macchiato alla lucchese

Canśonettato per un macchiato alla lucchese

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Vi vièn mai, verśo meśza matinata, ir “momento pitoro”?

Sarebbe ver momento che ‘un si sa’ se s’ha fame o troppa “voglia di lavora’-sartimi-addosso” … e allòra l’unio sistema per fasselo passa’ consiste di fermassi in varche bare e stacca’ ‘n menuto.

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Colaśion, di solito, la faccio a casa per du’motivi. In primisse pe’ risparmià, con ver che gosta falla fòri!

In segundisse perché se vado digiuno a governà i cunigliori ho paura di svenì per e ll’odore…

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Trovandomi a Marina di Lucca per lavoro, bari ‘un ne ‘onoscevo, mi fermiedi a ‘na pasticcieria che troviedi canto strada, tanto un valeva l’artro che sempre viareggini drento c’erino.

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Entriedi, meśzo losco per un fammi ‘onosce “da lucchese” e, in italiano córetto, chiedetti:

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“Buongiorno, mi farèbbe un caffè macchiato, per favore?”

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Vello che era alla machina der caffè si giró e broncioló:

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“ menemè ( o varcosa simile ) LUCCHESE “ 

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Penśiedi io:

“ Io laiiii! Sta a vede’ m’han già rionosciuto!”

E dissi:

“ Come mai m’avete ditto -lucchese- ?”

E lù:

“ No-no, intendevo ‘r macchiato… lo vóle alla lucchese?”

Rispondetti:

“Io vo’ ‘r caffè con ‘n goccin di latte, po’ lo facci come ni pare, ma ‘un credo sia tanto diffiortoso…”

Luqquì allòra piglió gallo, si vede aveva voglia di ruśza’ e continuiede:

“No, sai, vì da noi, se uno vòle il caffè macchiato in taśza grande si dice “alla lucchese” perché po’, se uno ni garba mettici dell’artro latte diaccio dar bricchin, si fa un cappuccino e paga vant’e ‘n caffè!”

“Sarébbe a dì che noiartri di Lucca siam spilorci?” – ni feci.

“Sai, vì si dice ‘osì…”

Arivò ir solito simpatio e s’intromise:

“Comunque i lucchesi en tutti tirchi”

“Toh! Sète ganśi voi, che per piglià un ombrellon sur mare a Viareggio c’è da davvi cinquanta euri… ma i sòrdi ‘un li regalin mia, veh!” 

“Hai a discóre per lòro- e ammiccó i su compari- io son di Camaiore…”

“…e allòra hai anco un ber muso, i camaioresi noi s’en sempre aiutati! Aveva ragion il mi poero nonno a dì – Camaioresi sette faccie, una più de’ matoni- òra siccome c’avete Lido, sète doventati tutti viareggini ” dissi un po’ ‘nfunato.

Di lì, c’erin artre vattro o cinque persone ner locale – chie a biascia’ le paste, chie a légge ‘r giornale, uno co ‘lla su’ fia e ‘n’anśiano- partì ‘na diatriba che ci tiraron in meśzo anco ir Vescovo e tutta la procession. 

Io ero da me e, ver che potevo, rispondevo…

” Bagnini “

” Andate a spiaggia libera, insennó sur Serchio !”

” Acqua, rena e ‘gnoranśa”

” Fate ‘r Quiésa pe’risparmià d’atostrada, laini!”

” Pesciai!”

“Tirchi! V’hó a schifo, delafia ! “

Pareva d’esse’ alla canśonetta ar teatro Jenco! 

Ir male è che ‘r vecchiettin ( velli anśiani en sempre i più niffiti ) principiò a raccatta’ i dorci dar banco e a tiralli; e mi vuoleva coglie’ me; ma po’ ‘un mi còrse e centró un didietro ner muso.

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Luqquì, doviva esse’ di Guerceta, perché parlava meśzo garfagnin meśzo massese, ‘un fece mia seghe; lo chiappó per la collotora come i polli e lo piantó di muso in un dorce di panna da prima comunion!

Di lì fu ‘r putiferio; da ‘ moccoli e ‘ bigné che volavin pareva un firme di Staglio e Oglio; da ‘un capicci più nulla!!!

Ir barista scappó e ci caó lì!

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Vello di Camaiore tirava le torte di semolin e velle cor pepe ( che pizziavin se t’indavano nell’occhi! ).

I viareggini di Marina tiravin i bomboloni co ‘lla panna e l’occhi di bue di marmellata, insennò i diti alla crema.

Ir Guercetino era indato in cucina e t’era sortito con du’ teglie di gegina.

“Noe! Ir salato ‘un vale!” proviedi a reclamà. Ma sieee!

Io da tirà ‘un avevo nulla perché de’ buccellati, delle treccie e delle torte co’ becchi ‘un n’avevan punte. 

Mi toccó dammi alla fuga, ma n’urlai mentre sortivo:

” Vai, vai ! V’aspetto per e ComiŚse! Ve le dó di sopra co’ la fogaccia der Giusti! “

Da tanto che m’ero imbufalito per vienì via ‘un mi rinvensi e presi l’atostrada.

Mentre sortivo a Massarosa per fa ‘r monte, mi vense a mente che ‘un avevo pagato ‘r caffè macchiato.

Iooo laaaaai! L’avevo preso a gratisse? Per quello era così bòooono!!!!

“E òra? O se mi portin per bocca?” – fece la voce della mi’ coscienśa.

” Ma tanto, paghi o ‘n paghi c’han sempre da discóre! ” – pensai –

” Sai che c’è? Che vadino a fa ‘n …. bagno! “

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de Il Lustro

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testo di fantasia ispirato agli argomenti campanilistici e luoghi comuni popolari tipici della provincia lucchese .

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“Gratuitamente canzonato per un caffè macchiato”

Capita anche a voi, intorno alla metà del mattino, un momento di sciocca apatia?

Un momento, per così dire, in cui non sappiamo riconoscere se si tratti di sintomo di fame o semplicemente desiderio di rilassarsi dal lavorare…

Ecco, per superare tale momento c’è un solo modo: fermarsi in un qualsiasi bar e fare una pausa.

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Normalmente faccio colazione a casa per questi due motivi; prima di tutto, da bravo lucchese parsimonioso, per risparmiar quattrini, considerato quanto costi far colazione fuori, secondo poiché dovendo al mattino dar da mangiare ai miei conigli, andando digiuno, potrebbe accadermi di svenire per la debolezza e il tipico tanfo di stalla.

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La torre Matilde
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Un giorno, trovandomi a Viareggio per lavoro e non essendo solito frequentare bar di quella zona, mi fermai al primo bar-pasticceria che trovai lungo la strada; non conoscendo i locali,  uno sarebbe valso l’altro, ma sempre personale e clienti di Viareggio vi avrei incontrato ( ironico).

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Entrai quasi in incognito per non palesare le mie origini lucchesi ( i viareggini sono soliti bistrattare i clienti lucchesi ) e parlando un italiano corretto senza alcuna inflessione provinciale domandai:

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“Buongiorno, mi farèbbe un caffè macchiato, per favore?”

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Il barista addetto a fare i caffè recepì l’ordinazione e, girandosi verso la macchina per preparare, mormorò:

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“ Menemè ( o qualcosa simile ) LUCCHESE “ 

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Io pensai:

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“ Per diamine! Che mi abbia già riconosciuto ?!”

Un po’ impermalosito, domandai:

  Perché mi ha detto-lucchese- ?”

E lui:

“ No-no, intendevo il caffè macchiato…  lo vuole alla lucchese?”

Io risposi seccamente:

“Voglio un semplice caffè con un goccio di latte, poi faccia ciò che le pare. Non credo che sia molto difficile da capirsi o realizzare”

Il barista, che aveva evidentemente voglia di questionare, continuò con la sua versione:

“ Vede, qui da noooi, a Viareggiooo… se un cliente desidera un caffè macchiatooo servito in tazza grandeeee, demanda un “caffè macchiato alla lucchese” . Con il latte presente sul bancone lo si può allungare a mo di cappuccino alla spesa però più modica di un semplice caffè “

“Vuole forse insinuare che noi lucchesi siamo degli spilorci?!?” Lo bloccai io.

“Noi di Viareggio diciamo così…” si scusò quasi il tizio.

Come spesso succede nei luoghi pubblici il solito “simpaticone di turno “ si intromise nella discussione cercando rogne:

“ Ad ogni modo è verità che tutti i lucchesi siano dei gran tirchioni” fece con modi da prepotente e quasi sfidandomi.

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“Perché voi Viareggini vi reputate migliori dei lucchesi?!? Voi che per affittarci un ombrellone sulla spiaggia ci -sfilate-ben cinquanta euro?!? Guardi che i soldi non crescono sugli alberi!” – replicai.

“ Non parli per me che sono di Camaiore, per queste questioni si rivolga ai miei solidali”- disse lui, girandosi verso i compari quasi a incitarli.

“Se lei è davvero di Camaiore ha proprio una gran faccia tosta! Noi lucchesi abbiamo storicamente protetto Camaiore! Sa come diceva mio nonno buonanima : – I camaioresi hanno sette facce ( maschere ):Una facciata in più di quella che hanno i solidi come i mattoni in laterizio! – lo offesi sempre più adirato.

In quel momento erano presenti nel locale altre quattro o cinque persone, alcuni a mangiarsi delle brioche , altri a leggere i quotidiani, un ragazzo con la sua fidanzata ed un signore più anziano.

Anch’essi si calarono nella discussione tanto che ne scaturì un’accesa diatriba in cui menzionarono il nostro amatissimo vescovo e persino l’effige del Volto Santo, figure carissime ai lucchesi.

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Io, che ero il solo a poter difendere la mia bandiera, tenevo testa a quei maleducati e per quanti potevo rispondendo loro:

” Bagnini !”

” Siete così tirchi da andare alla spiaggia libera che è gratuita oppure sul fiume!”

” Acqua, rena e ignoranza ce n’è in abbondanza” ( diceria lucchese sui viareggini). 

” Taccagni! Taccagni al punto di evitar l’autostrada per risparmiare!”

” Pescivendoli!”

“Tirchi! Mi siete talemente antipatici da schifarmi ! Per diamine ! ”

Questo botta e risposta sembrava un po’ quegli spettacoli teatrali chiamati “Canzonetta”

che rappresentavano un tempo al teatro Jenco in Darsena.

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La cosa più inaudita la compì l’uomo anziano ( gli anziani sono spesso inclini a gesti d’ira ) il quale armandosi dei dolci che erano lì esposti, iniziò a scaraventarli contro tutti ma col chiaro intento di colpire il sottoscritto. Fallendo il suo bersaglio centrò invece in pieno volto, un signore, che mi era alle spalle.

Quest’ultimo, che doveva risiedere nella frazione di Querceta, località la cui parlata simile a quella garfagnina e massese è riconoscibilissima, arpionò l’anziano per il collo ( come quando si tira il collo ai polli ) e gli spinse la testa – per lordarlo-in un dolce alla panna ( lì pronto per un bambino che avrebbe ricevuto il sacramento della prima comunione ).

Fu il tracollo definitivo che scatenò un putiferio in cui volarono al contempo  imprecazioni e bignè. Una specie di film di Stanlio e Ollio dove tutto era incomprensibile.

Lo stesso barista scappò dalla pasticceria lasciandoci lì “nei pasticci”.

L’uomo di Camaiore scagliava le torte di semolino e di pepe tipiche della sua terra. Queste ultime venendo a contatto con gli occhi provocavano irritazione ai feriti.

 Le persone di Viareggio lanciavano bomboloni farciti con panna oppure “occhi di bue” alla marmellata  o cannoli alla crema.

Ad un certo punto il tizio di Querceta scomparve in cucina per uscirsene con due teglie di cecina.

“I pezzi salati non sono ammessi “ – reclamai allora io.

Ma lui fece finta di non udire e riprese la battaglia che da dolce divenne salmastrosa.

Io,  unico lucchese della contesa, non avendo lì prodotti tipicamente lucchesi con cui difendermi ( come il buccellato, la treccia o la torta con i becchi ) ero privo dì munizioni.

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un buccellato lucchese
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Dovetti quindi ritirarmi con la sola e magra consolazione di gridare loro:

“Mi vendicherò in occasione dell’evento “Lucca Comics and games”; quando verrete a Lucca continueremo questa battaglia e vi colpirò con la famosa focaccia del Panificio Giusti!”

Il caos fu tale che, per rientrare a casa, imbucai per errore l’autostrada a pagamento; fortunatamente riuscii a evitare il gravoso onere del pedaggio uscendo a Massarosa ( nostra storica alleata ).

Qui realizzai all’improvviso di non aver pagato il mio caffè macchiato.

Per diamine! Avevo consumato, a Viareggio, senza neanche pagare! Ecco perché il caffè aveva quel gusto così unico e speciale!

“ E se adesso mi avrebbero ingiuriato per non aver pagato il dovuto?” -si ribellò la voce della mia coscienza.

Il senso di colpa scomparve pensando:

“In ogni caso quella gentaglia mi avrebbe comunque giudicato malamente! Che vadano a quel paese!”

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de Il Lustro

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il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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