Niffitume fanni lume e la corte

Niffitume fanni lume e la corte

“ Niffitume fanni lume!”

Un modo di dire lucchese che vuole indicare lo stato di nervosismo di una certa persona che appunto è “niffita” cioè indisposta è intrattabile.

Quanto al “far lume” probabilmente l’associazione è semplicemente dovuta alla rima ma voglio pensare che sia collegato al fatto che non fosse piacevole il vegliare, o meglio sorvegliare, due innamorati.

Fare il móccolo, come la candela che illumina, affinché lo spasimante non sia troppo “intraprendente” con la spasimata.

Era abitudine che quando un ragazzo volesse “fare all’amore” ( corteggiare ) con una ragazza, che chiedesse il permesso ai genitori e più propriamente al capofamiglia: il padre.

Veniva quindi nominata, per i primi castissimi incontri una guardia che poteva consistere in una nonna o una sorella della signorina.

Quasi sempre una donna, più paziente e perspicace di un uomo, che avrebbe intercettato atteggiamenti o discorsi ( in codice ) troppo allusivi o diretti.

La “corte”, che non era l’aggregato rurale di case con in mezzo il cortile ( aia ), avveniva poi molto gradualmente e con grande rispetto della ragazza, per non violarne la dignità e la reputazione di donna seria e pia.

Poi le cose avvenivano come nei tempi più recenti, soltanto che le location erano più contadine.

I luoghi di incontro potevano essere il bosco, i campi, i pollai, le sacrestie, le sale da ballo e in generale i punti d’incontro dei giovani di quel tempo ( parliamo fino agli anni ‘50 ).

Andare a cercar moglie in un paesino che non era il proprio d’origine, poteva significare un rischio.

I “forestieri” venivano accolti dai ragazzetti coetanei indigeni con “ghiovate” nel contado ( zolle di terra indurite dal sole ) o “pellicciate” ( pezzi di manto erboso con radici e terra ) appositamente “svelti” ( estirpati ) rispettivamente dai campi ( in campagna ) o dalle mura ( in città ).

Erano previsti anche dei dazi da pagare per accedere alla rappresentanza femminile che consistevano in doni in natura ( pollame, conigli, formaggi ecc. )

Le donne più ambite erano dette “maestrine”, come nella canzone “Piccola mela” di De Gregori, che significava avessero fatto studi, normalmente magistrali, cosa non scontata in quanto a permetterselo potevano essere solo le ragazze di buona famiglia

Gli uomini che potevano diplomarsi erano solo quelli di ceto più benestante che quindi non erano contadini e indispensabili per il lavoro nei campi  “braccia rubate all”agricoltura”.

I meno abbienti utilizzavano spesso l’escamotage di frequentare il seminario, studiando da “préte”, per imparare a leggere, scrivere e far di conto. Il “figlio d’un préte” spesso menzionato è infatti un furbacchione!

il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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