06 Feb Niffitume fanni lume e la corte
“ Niffitume fanni lume!”
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Un modo di dire lucchese che vuole indicare lo stato di nervosismo di una certa persona che appunto è “niffita” cioè indisposta è intrattabile.
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Quanto al “far lume” probabilmente l’associazione è semplicemente dovuta alla rima ma voglio pensare che sia collegato al fatto che non fosse piacevole il vegliare, o meglio sorvegliare, due innamorati.
Fare il móccolo, come la candela che illumina, affinché lo spasimante non sia troppo “intraprendente” con la spasimata.
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Era abitudine che quando un ragazzo volesse “fare all’amore” ( corteggiare ) con una ragazza, che chiedesse il permesso ai genitori e più propriamente al capofamiglia: il padre.
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Veniva quindi nominata, per i primi castissimi incontri una guardia che poteva consistere in una nonna o una sorella della signorina.
Quasi sempre una donna, più paziente e perspicace di un uomo, che avrebbe intercettato atteggiamenti o discorsi ( in codice ) troppo allusivi o diretti.
La “corte”, che non era l’aggregato rurale di case con in mezzo il cortile ( aia ), avveniva poi molto gradualmente e con grande rispetto della ragazza, per non violarne la dignità e la reputazione di donna seria e pia.
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Poi le cose avvenivano come nei tempi più recenti, soltanto che le location erano più contadine.
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I luoghi di incontro potevano essere il bosco, i campi, i pollai, le sacrestie, le sale da ballo e in generale i punti d’incontro dei giovani di quel tempo ( parliamo fino agli anni ‘50 ).
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Andare a cercar moglie in un paesino che non era il proprio d’origine, poteva significare un rischio.
I “forestieri” venivano accolti dai ragazzetti coetanei indigeni con “ghiovate” nel contado ( zolle di terra indurite dal sole ) o “pellicciate” ( pezzi di manto erboso con radici e terra ) appositamente “svelti” ( estirpati ) rispettivamente dai campi ( in campagna ) o dalle mura ( in città ).
Erano previsti anche dei dazi da pagare per accedere alla rappresentanza femminile che consistevano in doni in natura ( pollame, conigli, formaggi ecc. )
Le donne più ambite erano dette “maestrine”, come nella canzone “Piccola mela” di De Gregori, che significava avessero fatto studi, normalmente magistrali, cosa non scontata in quanto a permetterselo potevano essere solo le ragazze di buona famiglia
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Gli uomini che potevano diplomarsi erano solo quelli di ceto più benestante che quindi non erano contadini e indispensabili per il lavoro nei campi “braccia rubate all”agricoltura”.
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I meno abbienti utilizzavano spesso l’escamotage di frequentare il seminario, studiando da “préte”, per imparare a leggere, scrivere e far di conto. Il “figlio d’un préte” spesso menzionato è infatti un furbacchione!
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