03 Gen All’ INSEGNA di Lucca
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Parlare con Enzo Bachi è un gran piacere e un vero onore perché lui, 94 anni portati stupendamente, loquace e pieno di interessi per l’arte e la sua Lucca, rappresenta la memoria di un secolo della nostra città. Quando ti racconta delle persone e delle cose lo fa con passione ma soprattutto per esperienza diretta perché lui “c’era davero ‘un l’ha sentuto mentova’ solamente”.
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E rappresenta la nostra storia, non solo per l’età, ma anche per l’attività che ha svolto per tanti anni che era quella di “fare” le insegne dei negozi…
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C’era un tempo in cui le insegne non erano “provvisorie” ma stabili e costituivano un elemento assai importante della “ditta” ( altro termine desueto che però indicava un insieme che con le moderne “aziende” si è perso ).
Poi i tempi sono cambiati e l’insegna ha “preso le gambe” per seguire la ditta, trasferendosi se cambiava sede o dismettendo se il negozio chiudeva. Trasferimento e cessazione dell’attività era poi cosa assai rara da sentire fino agli anni ‘80 quando tutta l’economia girava e avere una bottega, anche piccola, significava sempre “star benino”.
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Una successiva ordinanza ha poi imposto che, per motivi legati al valore storico ed estetico, le insegne non fossero più rimosse e dovessero rimanere nella loro bella sede a presentare i locali che così “decorosamente” avevano per tanto tempo intitolato.
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Così, girando oggi la bella Lucca si possono notare insegne che annunciano una drogheria e trovar poi nei locali un negozio d’abbigliamento o una bella scritta dorata che menziona un gioielliere quando invece si fa ristorazione… ma almeno non si è snaturato il prospetto e l’identità della città.
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Ve ne sono un po’ di tutti gli stili e materiali, dal liberty al classico, dal vetro alla lamiera, dal legno al marmo…
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Le più antiche non hanno firma quindi è difficile identificarne l’autore; quelle in stile liberty in alcuni casi sono del Toti in altri casi sono di vecchie vetrerie locali e non.
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Il lavoro degli artigiani Bachi si colloca essenzialmente nella categoria di insegne realizzate in cristallo con scritte e decori in oro. Il padre Francesco, dopo studi artistici e un apprendistato dal Toti sopra menzionato, aprì nel 1914 la sua bottega in piazza della Cervia. Dal 1950 il laboratorio passò in mano al figlio Enzo che lo ha mantenuto attivo fino al ‘90, producendo buona parte delle più belle insegne dei negozi lucchesi e intitolando “con stile” i locali delle vie del centro storico. Perché ogni genere di commercio e attività aveva i suoi canoni, i suoi caratteri, i decori, pertanto il layout grafico doveva rispecchiare la categoria. Al gioielliere si addiceva magari un carattere corsivo inglese, ombreggiato ad argento, che avesse maiuscole con apici ( le “puntine” che si allungano sulla lettera iniziale e finale… ) su un cristallo a fondo nero con la cornice doppia o “scempia” e alla bottega la targa in lamiera degnamente smaltata e lucidata e comunque assai curata ( “i migliori smalti erano marca Lecler” – precisa il Bachi )
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C’era poi una proporzione che era il gusto ( e la capacità) del decoratore di rendere armonico lo scritto, con il carattere più estetico, il giusto spazio tra le lettere ( che non son tutte larghe uguali ! ) le dimensioni che non fossero “pacchiane” e chiaramente leggibili e identificabili.
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Sicché veniva fatto qualche bozzetto a mano, si discuteva col cliente, quello migliore si trasformava in un disegno a scala reale, un ultimo sguardo che il tutto andasse bene e si iniziava il lavoro.
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Principalmente su lastra di cristallo e sul “rovescio”, cioè sul dietro, perché resistesse all’intemperie dell’acqua e del sole.
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Il disegno veniva retroilluminato e i contorni ripresi a pennello, poi iniziava la “fondeggiatura” cioè la tintura del fondo. Una volta asciutto si partiva con la decorazione con la foglia oro 22 carati, un materiale assai prezioso e di qualità. A scritte ultimate si verniciava nuovamente il fondo per renderlo più resistente.
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Per le insegne in lamiera si procedeva invece con lo “spolvero”, polvere tamponata su forellini praticati sui contorni del disegno, si trasferiva l’impianto dalla carta al piano, poi iniziava la decorazione a pennello con gli smalti.
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Una lavorazione parecchio lunga e di precisione che terminava con l’installazione nella rispettiva sede e la sempre sicura soddisfazione del cliente per l’effetto scenografico del risultato.
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Un’arte, quella del decoratore che realizza le insegne, che si impara solo nel laboratorio dell’artigiano, se si hanno determinate capacità e con una lunga gavetta.
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Dei Bachi erano anche la prima targa di Tista ( quando ancora la drogheria dove è nata la biadina vendeva anche i filati ) o quelle della Banca Popolare Lucchese che aveva sede in piazzetta dei Cocomeri ( ora negozio di calzature ).
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E ad imparare dal Bachi si è recata anche l’artista olandese Angrid Warris che doveva realizzare la nuova insegna dell’Antico Forno a Vapore Amedeo Giusti secondo gli standard di quella originaria: il forno attivo da inizio ‘800 e di proprietà della Chiesa fu aperto al pubblico dal Giusti nei primi del ‘900, passando poi al figlio e quindi agli attuali proprietari che ne hanno con lungimiranza commissionato l’opera.
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A bottega già chiusa ( il laboratorio ha cessato l’attività nel 1990 per raggiunti limiti di età del titolare ) e con un insegnante d’eccezione, Enzo Bachi, la decoratrice ha ripercorso tutta la tecnica, appreso dei materiali e dei segreti del mestiere, sviluppato competenze quasi disperse e arricchito il proprio know-how facendolo conoscere anche all’estero dove l’artista è molto apprezzata.
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