25 Feb Lucca com’era: il Carnevale
Le origini delle manifestazioni del periodo che va da dopo Befana all’inizio della Quaresima, comunemente chiamato “Carnevale”, si perde nella notte dei tempi con valenze diverse da periodo a periodo, da popoli a popoli o da religione a religione.
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La chiesa cattolica ha inquadrato tale periodo come momento di riflessione e riconciliazione con Dio che nell’aspetto religioso si evidenzia con il rito di preghiera delle “quarantore”
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Anche la popolazione della Repubblica di Lucca ogni anno rinnovava l’avvenimento con mascherate e “lazzi” che, fino a circa il 1830, si svolgevano in via dei Borghi.
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Di questo, peraltro, non siamo riusciti ad individuare tracce storiche tangibili, mentre alcuni documenti danno la possibilità di ricostruire gli avvenimenti dal 1830 in poi.
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Infatti Maria Luisa di Borbone, signora di Lucca in tale periodo, aveva dato esecuzione ad un progetto urbanistico esistente sin dal 1767 con il quale si intendeva effettuare la parziale copertura del fosso che attraversava la città.
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Il tratto interessato era quello tra il baluardo San Colombano e Cittadella. Lo scopo dichiarato era quello di creare un’ampia zona di passeggio e transito oltre che di poter avere gli spazi necessari per eseguire adeguati corsi carnevaleschi. Fu così che, con la nascita della via dei “Fossi coperti” (oggi corso Garibaldi), la popolazione lucchese trovò il punto di riferimento per incontrarsi e divertirsi.
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I corsi ed i giochi carnacialeschi in questa zona si svolsero fin verso il 1920 allorchè, con il rientro dei militi dalla prima guerra mondiale e delle conseguenti variazioni sociali e politiche, non cambiò profondamente il sistema di aggregazione.
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Nacquero infatti numerose associazioni d’arma, di ex combattenti, politiche o settoriali che nel loro ambito, fra le altre cose, organizzavano feste danzanti con particolare cura per quelle del periodo carnevalesco. Alcune di questi gruppi non riuscirono a sopravvivere al ventennio fascista, ma quelli che in qualche modo ne vennero fuori indenni, continuarono le tradizioni fin dal primissimo dopoguerra. Naturalmente a queste si aggiunsero altri circoli nel frattempo nati intorno a nuovi gruppi di interesse.
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Uno degli appuntamenti più attesi in assoluto da tutta la cittadinanza era il “lunedì delle maschere”. Per tale serata la città era assolutamente gremita di gente che attendeva con ansia il “passo delle maschere”.
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In pratica ogni circolo organizzava una grande serata da ballo naturalmente con orchestrina dal vivo (gli impianti HiFi erano ancora lungi dall’arrivare) ed i soci che per un anno avevano studiato ed organizzato una mascherata a tema, opportunamente travestiti solevano visitare tutte le sedi delle associazioni sia per dimostrare la propria iniziativa, sia per scherno. Chiaramente per passare da una sede all’altra dovevano transitare dalle vie del centro dove, come già accennato, una gran folla li attendeva per dar loro un giudizio.
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Fra i circoli più attivi e famosi ricordo il “Circolo dei Cacciatori” in piazza Grande, “La Pantera” in via Buia, il “Circolo Ufficiali” in via Sant’andrea, il “Circolo Lucchese Rosso Nero” in corte Sbarra, Il Circolo “Edera” in via Santa Giustina ed infine, non ultimo, l’unico rimasto tuttora attivo il “Circolo Unione” di Via Santa Giustina.
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A dirla tutta dovrebbero essere ricordati anche altri quattro gruppi che organizzavano importanti feste di carnevale in date diverse dal “lunedì delle maschere” e che erano aperte quasi esclusivamente agli iscritti: il “Circolo sottufficiali” presso la Caserma Mazzini, il “Dopolavoro Cucirini Cantoni Coats” all’Acquacalda che realizzava due serate separate una per gli impiegati e l’altra per le maestranze, la sede del “P.C.I.” in corso Garibaldi ed il più esclusivo “Veglione della Stampa” che ogni anno si svolgeva nell’area di platea del Teatro del Giglio dalla quale, per l’occasione, venivano rimosse tutte le poltroncine.
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A tutte queste iniziative si aggiungeva una sfilata di maschere “libere” che partendo da Via dei Borghi attraversava tutta la città fra ali di folla.
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Cose di altri tempi oggi impensabili, ma che fanno pensare al senso di comunità allora esistente.
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di Carlo Rossi
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